“Nell’acustica asciuttissima dell’Auditorium Toscanini, dove ogni legato sembra un miracolo, il maestro newyorkese dirige (a memoria) un Requiem esplosivo, con tempi svelti, tutto d’un fiato. Lo compatta, ne affila le linee ferrigne, lo rende tuono freddo, che penetra e scuote. Lascia aperto il grido delle trombe, quando spazializza gli ottoni nel Dies irae, appuntisce l’esattezza del Coro (quello del Regio di Parma) e ogni minimo contrappunto strumentale: perfino il fagotto, nel Quid sum miser, suona staccate le sue sestine.” — Corriere della Sera